La tre giorni pazza di Gratteri: dagli attacchi a Draghi alla Cartabia, il procuratore contro tutti

La tre giorni pazza di Gratteri: dagli attacchi a Draghi alla Cartabia, il procuratore contro tutti

Di Tiziana Maiolo

Se Nicola Gratteri fosse (già) un esponente politico, sarebbe facile interpretare il suo improvviso dinamismo degli ultimi tre giorni. Due passaggi televisivi in programmi di grande ascolto come il Costanzo show e Otto e mezzo di Lilli Gruber. A ruota libera, senza peli sulla lingua. Contro il governo, contro il Parlamento e la politica. Poi, non contento, si è presentato ieri mattina alla commissione speciale di indagine sulla tragica morte di David Rossi, il responsabile delle relazioni esterne di Mps, ha lanciato un siluro nei confronti dell’avvocato Giancarlo Pittelli, minando il terreno con una richiesta di secretare il seguito della sua deposizione.

Secretare perché? Erano già noti i dubbi dell’ex senatore di Forza Italia ( e non solo suoi) su quella morte, resi pubblici in seguito a un’intercettazione con il suo legale (ah, la bella abitudine degli inquirenti di spiare conversazioni che dovrebbero essere protette!) Guido Contestabile. C’era bisogno di render nota anche una conversazione sullo steso argomento con l’ex presidente di Mps Giuseppe Mussari, recentemente assolto dalla corte d’appello di Milano? Se, come è probabile, Giancarlo Pittelli nelle due chiacchierate telefoniche intercettate ha sempre esposto la medesima tesi, tra l’altro condivisa dalla maggior parte delle persone, che quella morte non sia stata suicidio ma omicidio, non c’era nessun bisogno di suscitare la curiosità dei parlamentari, e soprattutto dei giornalisti, su una semplice opinione personale su un fatto accaduto. Se invece stiamo parlando della necessaria riservatezza su importanti atti investigativi, allora ci permettiamo di sussurrare all’orecchio del procuratore Gratteri che, per quanto stiamo parlando di una commissione d’inchiesta, forse sarebbe stato più prudente un riserbo totale da parte sua.

C’è però anche una terza ipotesi, a spiegazione del comportamento del prestigioso magistrato. E si ricollega alle parole da lui pronunciate senza freni nei due giorni precedenti alla sua audizione parlamentare. Inutile girarci intorno, alle spalle c’è qualcosa che ancora brucia, e che brucerebbe a chiunque, la mancata promozione al ruolo di Procuratore nazionale antimafia. Con due argomenti forti che il procuratore Gratteri può ben giocarsi per lamentare il fatto che il Csm gli abbia preferito Giovanni Melillo. Sul primo ha sicuramente ragione, perché il Consiglio ha operato una scelta politica, privilegiando chi era più inserito organicamente nel mondo istituzionale, rispetto a un battitore libero. Per il resto, rispetto alla sua insistente sottolineatura di essere il massimo esperto mondiale di mafie, vien voglia di dirgli ”Bum”, come si faceva da bambini quando si riteneva che il nostro amico l’avesse sparata grossa.

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Il procuratore Gratteri sa benissimo di non poter paragonare il suo “Rinascita Scott” al maxiprocesso voluto da Giovanni Falcone. Ed è inutile anche voler mettere a confronto la stagione delle stragi con i morti sul selciato ogni giorno, con una criminalità, quella della ‘ndrangheta, che è ormai diventata, come lui stesso dice e scrive nei libri, più che altro un insieme di comitati d’affari. E rispetto alla quale sono ormai desuete le stesse norme antimafia di venti-trent’anni fa, ma anche i metodi investigativi con i blitz di centinaia di persone e quell’ossessione della ricerca del terzo livello cui Falcone non ha mai creduto. Dice niente il fatto che per catturare qualche titolo di giornale occorre sempre chiamare in causa il nome di Pittelli? Non ha ancora capito che è un’arma spuntata, dottor Gratteri?

Resta lo stupore per il fatto che un magistrato che ha finora comunque goduto di ottima stampa e di stima anche nel mondo politico, tanto da aver sfiorato il ruolo di guardasigilli quando era presidente del consiglio Matteo Renzi, abbia d’improvviso deciso di mettersi a galoppare a briglie sciolte. Se davvero, come si dice, progetta di seguire le orme di Nino Di Matteo e rinunciare al ruolo di “combattente”, mettendosi comodo al Csm, non può farlo da solo contro il mondo. Lo stesso se pensa di mettersi in gara per diventare procuratore di Napoli, il ruolo lasciato libero da Giovanni Melillo. La sua sembra sempre più una partita di poker. Quella di un giocatore che potrebbe avere carte forti in mano, visto che qualche giornale parla di suoi incontri con importanti esponenti politici. Ma anche quella del bluff, che è la vera capacità dei professionisti del tavolo verde.

In ogni caso la sua lingua lunga è una stonatura. Ha detto che il presidente del consiglio Mario Draghi è solo un esperto di finanza ma non capisce niente dei problemi della sicurezza e della giustizia. Si è lamentato perché né lui né la ministra Cartabia gli hanno manifestato solidarietà per le minacce mafiose. Poi ha pensato bene di insultare tutto quanto il Parlamento dicendo che almeno 935 tra deputati e senatori stanno lì a scaldare i banchi di Montecitorio e Palazzo Madama, perché ci sono solo “8-10 persone che gestiscono il Parlamento: gli altri votano come decidono quelle 8-10 persone”. E non è finita. Perché non si rende neanche conto del danno che produce a se stesso, facendo la parte del bacchettone conservatore, con l’affondo nei confronti della proposta di legge sulle “case dell’affettività”, luoghi d’incontro tra i detenuti e le loro famiglie da costruire all’interno delle carceri e su cui il governo ha sbloccato 28 milioni di euro.

Perché qui stiamo parlando di una norma di alto valore sociale, esistente da moltissimi anni in tutta Europa, con cui l’Italia darebbe attuazione non solo all’articolo 32 sul diritto alla salute, ma anche agli indirizzi dell’Unione Europea. Tra l’altro è del tutto infondato l’allarme lanciato dal procuratore di Catanzaro, sul pericolo che i detenuti dell’Alta Sicurezza potrebbero usare di questi incontri con la famiglia per lanciare messaggi all’esterno. Perché il “carcere impermeabile” riguarda solo il regime di 41-bis, tutti gli altri detenuti comunicano già in vario modo con l’esterno, come ha ben spiegato sul Foglio di ieri Adriano Sofri.

Ma tutto fa brodo, in politica. Si, perché nei movimenti solo apparentemente scomposti della “tregiorni” del dottor Gratteri c’è ben poco delle mosse del vecchio leone combattente del blitz di tre anni fa. C’è lo sbarco in un altro mondo, quello in cui si parla a suocera perché nuora intenda (o viceversa), quello in cui novecento persone eseguono le decisioni di 8-10. Ed è chiaro che in qualche modo, Nicola Gratteri vuole essere uno di questi.

da Il Riformista

  • Posted by riformagiustizia
  • On Maggio 27, 2022
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